Palazzo Doria Pamphilj

Collocato nella zona più alta del paese, il Palazzo Doria Pamphilj, rappresenta oggi una delle poche testimonianze storico-artistiche di un tessuto urbano distrutto dall'ultimo conflitto mondiale. La scelta del luogo per l'erezione non è nuova, anzi le fonti testimoniano che coincide con il luogo scelto dagli Sforza e successivamente con il luogo destinato dai Barberini, per l'edificazione del loro palazzo principesco. Quindi un luogo già denso di memoria storica, quello voluto da Camillo Pamphilj e da Olimpia Aldobrandini, per costruire il loro palazzo.
 
Trenta metri d'altezza, sessanta di lunghezza, il palazzo si presenta su quattro piani (il pian terreno, il piano nobile ed altri due piani di minore altezza) all'interno dei quali si dislocano 365 stanze, per una superficie totale di 7400 m² e un volume di 48000 m³.
 
Dove oggi sorge l'ala occidentale (quella rivolta su Piazza Umberto Pilozzi) esisteva una Chiesa medioevale; né testimoniano la sua esistenza alcuni ritrovamenti, tra i quali una muratura a blocchetti di tufo visibile dal cortile interno del palazzo. A lungo è stata incerta l'individuazione dell' architetto, sono stati fatti i nomi di Mattia Dè Rossi (ideatore della prospiciente Collegiata), di Carlo Rainaldi e di Antonio del Grande (il cui intervento può essere con certezza collocato cronologicamente solo a partire dal 1666), ma è ormai accertato che per la nuova costruzione il principe si serve di un architetto dell'ordine gesuita, Benedetto Molli (1600? - 1657?).
 
L'intera costruzione è stata realizzata in gran parte tra il 1653 ed il 1658 ad esclusione di migliorie apportate successivamente e quasi sicuramente, nonostante non abbia una collocazione temporale ben precisa, anche del porticato a fronte concava su colonne, sopra il quale sembra fosse stato previsto la costruzione di un secondo piano loggiato. Nel 1665 e 1666 sono stati effettuati piccoli interventi sul palazzo tra i quali la costruzione delle cucine, di una nuova stalla e di un <<novo Bagnio>>. Sempre a questo periodo risale l'intervento dell'Architetto Antonio Del Grande. Altri interventi sono stati effettuati al palazzo nel XVII sec. ma quelli di maggior rilievo sono avvenuti nella 
seconda metà del XIX secolo sotto la guida dell'arch. Andrea Busiri Vici. Venne modificata la copertura del palazzo, inizialmente a tetto ora a terrazzo e fu costruita la balconata di servizio alla Sala del Principe.
 
Il palazzo si presenta oggi nella sua monumentale tipologia di edificio fortificato, un blocco unico, compatto e geometrico di tre piani, costruito su un resistente basamento a bugnato in tufo. L'unità esterna però è contraddetta dalla planimetria interna, per la diversa concezione distributiva del lato meridionale rispetto a quello settentrionale. Infatti, se il lato meridionale è definito da quattro ambienti ampi e luminosi, quello settentrionale si articola invece in sei piccoli ambienti, i cosiddetti “camerini”, che fanno da corona alla più grande “Sala del Principe”. Elemento di raccordo tra i due lati, una grande sala centrale che apriva verso gli altri ambienti attraverso sei grandi porte. Una così diversa distribuzione spaziale ha fatto avanzare l'ipotesi di una diversa cronologia dei due lati e considerare il lato meridionale quale sopravvivenza del precedente palazzo demolito al quale è stata addossata l' “ala nova” del lato settentrionale.
 
Gravemente danneggiato durante la guerra, parte dell'ala occidentale crollò sotto le bombe, è stato inserito tra i cento monumenti più importanti al mondo da salvare dalla rivista americana “World Monuments Watch”.
 
Nel maggio del 1948 il principe Don Alfonso Pamphilj invia una lettera al Comune di Valmontone con la quale egli cede alla città gratuitamente il palazzo dettando alcune condizioni alle quali il Comune doveva sottostare ai fini della cessione tra le quali: doveva rispettare il severo carattere monumentale ed artistico del Palazzo, astenendosi dal deturparne in alcun modo l'aspetto; i locali dovevano essere adibiti solo per uffici pubblici e di attività civiche d'interesse generale e non per sedi di partiti politici, o per adunanze e comizi dei partiti stessi; non dovevano essere esposte sul palazzo altre bandiere o insegne che non siano la bandiera nazionale o il gonfalone del Comune; doveva provvedere nel più breve tempo possibile ad allestire i locali per la caserma dei carabinieri.
 
Il 25 Maggio del 1977 sul <<Corriere della Sera>> Cesare Brandi, storico d'arte, pubblica un articolo intitolato “Un Palazzo che va in rovina”, con il quale si constatava lo stato di abbandono e di rovina in cui si trovava il palazzo. I primi passi verso il suo recupero avvennero nel 1978 quando vennero stanziati i primi soldi per la bonifica della facciata esterna.
 
Più tardi, il 29 Luglio 1987 il Comune stipulò una convenzione ed in seguito un protocollo d'intesa per l'uso dell'immobile con l'Università “La Sapienza” rappresentata per l'ultima volta da Antonio Ruperti, il quale nello stesso giorno si recò dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga per giurare da Ministro dell'Università e della Ricerca Scientifica. La convenzione stipulata, prevedeva la cessione del palazzo per 25 anni all'Università, per destinarlo allo svolgimento di attività istituzionali e didattiche. Il Comune poteva usufruire di una superficie non superiore al 10% del totale per compiti istituzionali. Gli spazi occupati dall'Università vennero destinati sin da subito da “La Sapienza” stessa al CIRPS (Centro Interuniversitario per la Ricerca e lo Sviluppo Sostenibile).
 
Un progetto generale di restauro, consolidamento e reintegrazioni delle parti distrutte dal bombardamento è stato studiato nel 1988. Nel 1989, venne ricostruita l'ala crollata durante la II guerra mondiale, quella prospiciente Piazza Umberto Pilozzi. Nel 1993 avvenne il riscatto dai privati che occuparono le stanze del palazzo nel dopoguerra e furono consolidati il tetto e gli affreschi del piano nobile. Il 20 Dicembre 1997 il palazzo 
diventa ufficialmente sede dell'Università “La Sapienza”.
 
Nel 2002 vennero completamente restaurate l'ala est del palazzo e la corte interna del palazzo intitolata ad Antonio Ruperti. Una monumentale scala di marmo consente l'accesso al primo piano, il piano nobile, dove si snoda un importante ciclo ad affresco, somma della pittura di decorazione delle residenze principesche della seconda metà del seicento. I quattro grandi ambienti del lato meridionale, che propongono il tema dei quattro elementi (in successione: la Stanza del Fuoco opera di Francesco Cozza, la Stanza dell'Aria di Mattia Preti, la Stanza dell'Acqua di Guglielmo Cortese detto “il Borgognone” e la Stanza della Terra attribuita a Giambattista Tassi), conducono al lato settentrionale. Questa ala è articolata intorno alla Sala del Principe, l'unica ad essere affrescata non solo nel centro di volta ma anche sulle pareti con un paesaggio realizzato da Gaspard Dughet, con a far da corona, i sei camerini, quattro con la rappresentazione dei continenti, rispettivamente l'America, l'Africa, l'Asia e l'Europa e i due ambienti con funzione religiosa, l'Anticappella con la rappresentazione di Santa Agnese e la Cappella con l'immagine del Padre Eterno. 
Nel Novembre 2014, a seguito di importanti interventi di restauro, è stata riconsengnata con tutto il suo splendore alla comunità di Valmontone, la sala più importante del palazzo... la Stanza del Principe, l'unica affrescata anche sulle pareti.